Dialogo tra arte e filosofia
La bellezza è negli occhi di chi guarda: una frase che tutti abbiamo ascoltato o pronunciato molte volte nella nostra vita, molto probabilmente senza renderci conto delle implicazioni filosofiche che tale concetto sottende.
Il filosofo David Hume è stato il primo a concettualizzare quest’intuizione: “La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le contempla” scrive infatti nelle Dissertazioni sulla tragedia. Si tratta di una prospettiva del tutto nuova e, per certi versi, ardita: infatti, la maggior parte dei pensatori antichi e di quelli medievali poneva la bellezza oggettivamente al di fuori dell’osservatore.
Per il filosofo Platone, invece, la bellezza è lo splendore dell’essere.
Secondo il filosofo Kant la bellezza provoca, in chi la sperimenta, un giudizio contemplativo. Non è una caratteristica intrinseca di un oggetto o di un’opera, ma deriva dalla capacità di eccitare lo spirito di chi la ammira.
Qual è lo scopo dell’arte? Che cosa può darci e perché ne siamo attratti?
Il filosofo Hegel ha provato a rispondere a queste domande. Nel corso delle lezioni universitarie tenute a Heidelberg e Berlino tra il 1818 e il 1829, Hegel tratteggiò quella che, per molti, rappresenta la riflessione più completa e approfondita sull’argomento.
Per Hegel tutto ciò che è ideale è superiore a ciò che appartiene al mondo fisico. Dunque, l’essenza della bellezza può trovarsi solo nell’arte, in quanto essa origina dallo spirito e non dal mondo naturale.
Il fine ultimo dell’arte non è quello di imitare la realtà, né quello di suscitare sentimenti: si tratta, piuttosto, di rivelare la verità attraverso una rappresentazione “sensibile”, cioè percepibile attraverso i sensi. L’opera d’arte è in grado di mediare tra spirito e materia, tra particolare e universale.
Una risposta completamente diversa è fornita dal filosofo Benedetto Croce secondo il quale l’arte è un’esperienza spirituale, non deve necessariamente procurare un piacere e non è neppure utile. Su questa base, il campo di ricerca del bello viene ampliato in tutte le aree di espressione dell’essere umano e non solo nel mondo dell’arte.
Perché quindi facciamo arte?
Secondo alcuni, per procurare un piacere emotivo, suscitare un moto dell’anima; altri invece, la ritengono un’esperienza intellettuale.
Fino al Rinascimento, la filosofia ritenne di aver trovato nella proporzione il segreto della bellezza, come dimostra l’Uomo vitruviano disegnato da Leonardo Da Vinci.
Mi piace pensare che a volte le parole non bastano e allora servono le forme, i colori, una tela su cui dipingere le emozioni e trasmetterle agli altri.
Per me contemplare un’opera d’arte può farci provare le stesse sensazioni, emozioni forti (a tal punto da toccare e far vibrare le corde del cuore), moti dell’anima e piacere di quando si è innamorati. L’arte e l’amore fanno vibrare l’anima e il cuore e osservare le cose con uno sguardo invariabilmente in bilico tra lucidità e meraviglia. Lo sguardo di un innamorato che entra in profondità nell’altra persona e si perde completamente al suo interno.
Tutto ciò l’ho provato in maniera particolarmente forte quando mi è stato donato il dipinto “Dialogo tra arte e filosofia” realizzato da una persona molto speciale e importante per me che ringrazio ancora di cuore.
Semplicemente, mi piace immaginare che ha egli dipinto con sentimento, ardore e che le sue emozioni sono state trasferite dai pensieri alla tela.
Per me, dipingere non significa necessariamente suscitare emozioni. Quando un dipinto è in grado di emozionare è evidente che dietro non c’è solo la mano di un pittore ma di un artista, proprio come in questo caso.
Il colore del cuore non si vede ma si sente. Un cuore: che batte. Che si emoziona. Che va riempito di cose belle e sensazioni uniche per continuare ad avere una ritmica d’amore, delicata e sottile.
Elisa Dipré